giovedì 10 Ottobre 2024 - Anno 33

TAGLIAMO LE RADICI DEL PASSATO…A COSA SERVE

Partner

E’ giusto negare e dimenticare?
TAGLIAMO LE RADICI DEL PASSATO…A COSA SERVE.

Da qualche tempo si avverte in tutto il modo il desiderio di tagliare di netto quelle cose del passato che pure c’erano, e per anni sono esistite, spesso, ma non sempre a monito di un qualcosa che era accaduto e che si sperava non dovesse accadere più.
Con l’avvento dei social e dell’immediatezza della comunicazione, della notizia in tempo reale sono sorti movimenti che, in virtù di una presunta radicale pulizia e distacco dal passato, cercano di cancellarne la memoria. Siano essi statue, parole, narrazioni e quant’altro sia, sempre in passato, avvenuto non in linea con l’etica ed il credo attuale.
Ed allora certe parole sono bandite dal lessico comune, certe affermazioni vengono sbrigativamente incasellate nel “razzismo”, nell’intolleranza verso il diverso o verso chi presume di trovare presso Paesi più evoluti una qualche forma di accoglienza sempre e comunque disponibile.
Ingiusto massacrare di botte una persona solo per un sospetto o un diverso colore del volto, ma anche ingiusto credere che dietro questi accadimenti non vi siano spesso lotte per la spartizione di qualcosa, interessi che si coltivano a scapito dei più malcapitati e bisognosi che la morale corrente vuole sempre e comunque accolti; senza poi dare a questi stessi una qualche speranza di futuro migliore, diverso dalla pura e semplice assistenza che spesso non arriva o non la si vuole fare arrivare laddove effettivamente necessiterebbe.
Viene alla memoria la parabola del buon Dio che a tre uomini diede un sacchetto di grano ciascuno, lasciando loro la libertà di cosa farne.
Il primo se lo cucinò e consumò, tornando poco dopo alla fame di prima.
Il Secondo lo lasciò cadere sul terreno pietroso e non ne ebbe alcun frutto.
Il terzo lo custodì gelosamente, preparò il terreno e lo seminò, raccogliendone poi in grande quantità. Ebbene tre persone diverse partendo dalla stessa base ottennero risultati altrettanto differenti e due di queste persone tornarono alla fame di prima.
Cosa potrebbe significare questa parabola, questo semplice racconto? Potrebbe significare che anche a parità di partenza per molti sarebbe difficile ragionare correttamente ed utilizzare ciò che hanno avuto in maniera corretta.
Forse, e chiediamo perdono, il buon Dio aveva dimenticato di dare ai tre le istruzioni necessarie a far fruttare al meglio il piccolo capitale ricevuto in dono. Ma forse aveva anche voluto mettere alla prova la loro intelligenza lasciando libertà di scelta.
Se noi si partisse da questa semplice parabola e si completasse con le dovute informazioni, tante situazioni che oggi ci troviamo ad affrontare, forse sarebbero meno gravi e meno pressati. Un antico proverbio ligure recitava che non è necessario regalare alle persone ogni giorno del pesce, mentre è necessario fornire loro una canna da pesca ed insegnargli a pescare.
Se molti di noi per interesse, buonismo o convinzione credono che sia indispensabile sempre e comunque accogliere ed assistere chiunque anche senza averne titolo, si presenti e questo credo lo si fa divenire regola, rischiamo di fare come quell’uomo che il sacchetto di grano se lo è cucinato e mangiato, rimanendo senza alcuna risorsa per il futuro.
Ci si indigna spesso e facilmente per molte cose, magari a ragione, ma ci si indigna molto meno per le baraccopoli ed i nuovi schiavi chiamati a lavorare per molte ore nei campi, sotto il sole per qualche misero euro.
Ci si indigna non troppo per lo spaccio di sostanze stupefacenti nella convinzione che questo, per alcuni sia l’unico mezzo di sussistenza.
Ci si indigna non troppo per i coltelli che puntualmente spuntano nelle mani di qualcuno ed uccidono senza ragione.
Interessi o convenienza portano individui o gruppi di essi a lucrare anche sulla povertà e sulla disperazione di chi, come gli indigeni primitivi si sentivano attratti da un semplice specchietto o da una perlina senza valore e la barattavano in cambio di consistenti ricchezze di cui erano in possesso e delle quali non conoscevano il reale valore.
Le radici profonde del nostro passato, della nostra cultura, dei nostri errori dovrebbero non già essere recise, ma fatte restare a livello del terreno per ricordarci quello che si deve o non si deve fare.
Quello che si può fare da noi, nei nostri ricchi paesi occidentali e quello che è giusto e molto più semplice fare in altri territori, in altre nazioni che con le continue guerre arricchiscono molte persone che la carestia e la povertà usano come strumento di ulteriore guadagno.
E’, il nostro, un discorso difficile, per certi versi spinoso, ed anche contrario al pensare comune. Ma è una riflessione necessaria se non si vuole cadere nel pozzo del qualunquismo, nel gorgo del non pensare, ma agire come viene suggerito dai più o da coloro che, in virtù della loro influenza sui social, si stanno arrogando di far pensare molti con la loro testa e non sempre questa loro testa forgia concetti ed idee condivisibili o corrette.
Non sempre quello che si legge e si approva senza ragionarci sopra è la cosa migliore. Lo sarà sicuramente per la mente di molti che così evitano di pensare ed impegnarsi a dare il proprio piccolo contributo alla nostra vecchia stanca società che più che affrontare i problemi si trincera dietro slogan di sicuro effetto che non portano da nessuna parte, ma ci fanno sentire in perfetta linea con il pensiero altrui.

Pier Marco Gallo

Articolo Precedente
Prossimo Articolo

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome qui

Partner

Ultimi Articoli