Rubrica a cura dell’Avvocato Piera Icardi
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“Buongiorno, io e la mia compagna siamo unite civilmente da diversi anni. Mentre lei ha, da sempre, un lavoro a tempo indeterminato io, qualche anno fa, sono stata licenziata e da allora fatico a trovare un impiego serio e duraturo. Ho sentito che è stata fatta una legge che tutela economicamente anche le coppie unite civilmente in caso di separazione e volevo qualche delucidazione. Grazie”
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25495 del 17 settembre 2025, ha stabilito che, dopo lo scioglimento di un’unione civile, può essere riconosciuto un assegno di mantenimento al partner economicamente più debole, applicando gli stessi principi del divorzio.
Questa evoluzione del diritto di famiglia manifesta la volontà del legislatore di andare verso l’equiparazione delle unioni civili (celebrate tra persone dello stesso sesso) con il matrimonio tradizionale; in entrambi i casi, qualora vi sia lo scioglimento, è possibile ottenere un assegno di mantenimento secondo le stesse regole previste per il divorzio.
La vicenda all’esame dei Supremi Giudici ha riguardato la fine del rapporto tra due donne friulane che avevano siglato l’unione nel 2016.
Il Legislatore ha applicato all’unione civile la norma di riferimento per l’assegno di mantenimento post divorzio contenuta nell’art. 5 della legge 898/1970 che prevede la possibilità per il tribunale di disporre “l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
Le Sezioni Unite hanno fornito una risposta inequivocabile, stabilendo che “la durata del rapporto deve essere valutata considerando anche il periodo di convivenza di fatto che ha preceduto la formalizzazione dell’unione, anche se antecedente all’entrata in vigore della legge n. 76/2016”.
Secondo i giudici, “la convivenza che sfocia nell’unione civile non può essere equiparata ad una mera convivenza di fatto, in quanto partecipa retrospettivamente della natura del vincolo che l’ha seguita, testimoniando la volontà delle parti di dare continuità alla vita familiare pregressa”.
Gli ermellini hanno precisato che, ai fini dell’assegno, “devono essere considerate le scelte di vita e le rinunce compiute durante la convivenza in funzione del rapporto, come il trasferimento della residenza o le dimissioni dal lavoro, in quanto idonee ad incidere sulla situazione economico-patrimoniale delle parti anche dopo lo scioglimento dell’unione”. Questo passaggio è cruciale perché riconosce che le dinamiche economiche e patrimoniali di una coppia non iniziano con la formalizzazione giuridica del rapporto, ma si sviluppano nel corso dell’intera relazione affettiva.
L’assegno di mantenimento, che ha una funzione assistenziale e compensativa-perequativa, è dovuto se il richiedente non ha mezzi adeguati per vivere dignitosamente e se lo squilibrio economico è dovuto a sacrifici fatti durante l’unione, come la rinuncia alla carriera per favorire l’altro partner.
Questo nuovo orientamento rappresenta il punto di arrivo di un’evoluzione giurisprudenziale che ha visto la Cassazione sempre più attenta alle esigenze di tutela delle coppie omosessuali. Ogni passo verso la piena equiparazione rappresenta un progresso giuridico ma, soprattutto, un riconoscimento della dignità e dei diritti di cittadini che sono sempre stati considerati di “serie B”.
Decisioni come questa dimostrano che il diritto italiano vuole evolversi ed adattarsi alle trasformazioni sociali, mantenendo fede ai principi costituzionali di uguaglianza e non discriminazione.
Tutto ciò premesso, si può concludere confermando alla lettrice che anche le coppie unite civilmente, in caso di scioglimento, possono ottenere un assegno di mantenimento che verrà quantificato da un Giudice dopo aver valutato lo stato di bisogno del richiedente, il suo contributo fornito alla vita comune e la necessità di riequilibrare le posizioni economiche delle parti.







