martedì 15 Luglio 2025 - Anno 34

LO SPORTELLO LEGALE

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Rubrica a cura dell’Avvocato Piera Icardi
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“Buongiorno, io e mio marito siamo ormai divorziati. Il Tribunale mi ha riconosciuto l’assegno divorzile e, ora che mio marito è andato in pensione, vorrei sapere se mi spetta una parte del suo TFR. Grazie”

Il trattamento di fine rapporto (TFR) è una somma di denaro che il lavoratore ha accumulato durante la sua carriera e che riceve al termine della sua vita lavorativa; viene versato al dipendente in caso di dimissioni, licenziamento, pensionamento, o per altra causa. Mentre in passato il datore di lavoro accantonava una percentuale della retribuzione annua lorda del dipendente, dal 1° gennaio 2007 ciascun lavoratore può scegliere, in alternativa, di destinare il proprio Trattamento di Fine Rapporto maturando (futuro), in tutto o in parte, alle forme pensionistiche complementari.
Al termine del rapporto di lavoro, il dipendente riceverà tutto o parte del suo TFR da chi, negli anni, lo ha gestito.
In materia, in passato, i pareri sono stati, per molto tempo contrastanti, infatti si pensava che il TFR accantonato in un fondo pensionistico complementare non dovesse essere percepito dal coniuge divorziato.
A dirimere la controversia ci ha pensato la Corte Suprema di Cassazione che, con l’ordinanza interlocutoria n. 8375, del 30/03/2025 (I Sez. Civ.), ha rimesso la discussione del ricorso alla pubblica udienza, attesa la particolare rilevanza della questione riguardante il diritto del titolare dell’assegno divorzile a conservare la quota del TFR maturato in capo all’ex coniuge anche nel caso in cui quest’ultimo abbia fatto confluire l’intero TFR in un Fondo di previdenza complementare.
La questione è stata introdotta con un ricorso per la violazione dell’art. 12 bis della l. n. 898 del 1970, concernente il diritto della moglie divorziata a percepire una quota del TFR maturato durante gli anni di matrimonio anche in caso di versamento a Fondo Previdenziale avvenuto in unica soluzione poco prima del pensionamento.
In forza dell’art. 12bis, ricorda la Cassazione, “Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’articolo 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza”.
La condizione per l’ottenimento della quota del trattamento di fine rapporto (TFR) è che il richiedente sia titolare di un assegno divorzile al momento in cui l’ex coniuge matura il diritto alla sua corresponsione.
Alla base della disposizione normativa, afferma la Cassazione, “si rinvengono profili assistenziali, evidenziati dal fatto chela disposizione stessa presuppone la spettanza dell’assegno divorzile, ma anche criteri di carattere compensativo, predeterminati dalla legge. La finalità, in sintesi, è quella di attuare una partecipazione, seppure posticipata, alle fortune economiche costruite insieme dai coniugi finché il matrimonio è durato”.
La previsione di cui all’art. 12 bis l. n. 898 del 1970, precisa la Cassazione nell’ordinanza in commento, “si applica a tutte quelle indennità, comunque denominate, che maturano alla data di cessazione del rapporto lavorativo e che sono determinate in misura proporzionale alla durata del rapporto di lavoro e all’entità della retribuzione corrisposta, trattandosi di una quota differita della retribuzione, condizionata sospensivamente nella riscossione dalla risoluzione del rapporto di lavoro”.
Le Sezioni Unite, intervenute sul tema con la sentenza n. 6229/2024, hanno chiarito che per poter stabilire se una determinata attribuzione in favore del lavoratore rientri o meno fra le indennità di fine rapporto contemplate dall’art. 12 bis, “non è determinante il carattere strettamente o prevalentemente retributivo della stessa, essendo decisivo, piuttosto, il correlarsi dell’attribuzione … all’incremento patrimoniale prodotto nel corso del rapporto dal lavoro del coniuge che si è giovato del contributo indiretto dell’altro”.
Il trattamento di fine rapporto, anche se il vincolo matrimoniale è sciolto, deriva dall’accantonamento di somme operato nel corso del rapporto di lavoro e, per il tempo in cui esso si è svolto durante la convivenza matrimoniale pertanto, in conclusione possiamo affermare che l’ex coniuge del lavoratore ha diritto di godere di una quota di tale trattamento indipendentemente dall’accantonamento eseguito dal datore di lavoro e/o dal versamento delle somme ad un Fondo Previdenziale.
Requisiti per ottenere la quota del TFR versato all’ex coniuge sono l’aver ottenuto il riconoscimento del diritto all’assegno divorzile e non essere incorsi a nuove nozze.

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