Quali conferme e quali novità ci mette dinanzi – a noi suoi affezionati lettori – Donatella Mascia con questo suo, nuovissimo “L’urlo nella notte” degli ingredienti della suspense nessuno manca. Ci sono, anzi, fin dal titolo: l’urlo (e di chi mai?) e la notte (il simbolo per eccellenza delle forze oscure e del mistero). Chi viene svegliato dall’urlo nella notte è Venanzio, giovane farmacista avviato a un’esistenza che, tolta qualche increspatura sentimentale, sembrerebbe aver già firmato la polizza sulla vita della regolarità.
Chi ha gridato è Tilde, la sua misteriosa e affascinante vicina di casa. È svenuta e, da dentro la casa, sotto la cui porta filtra una lama di luce, il suo «cagnetto dal pelo riccio» non si dà pace. Chi incontriamo per primi sono un uomo e un cane. Tutto inizia con questa scena scompigliata, affannata, cinematografica, con cui Donatella Mascia conferma quel suo interesse per «gli uomini e gli animali» – per gli uomini in relazione e alleanza con gli animali – che abbiamo già visto in altri suoi libri, dal romanzo Quel gran signore del gatto Aldo alla raccolta di racconti Di uomini e di animali.
Ma la storia torna indietro: come in tanta letteratura, come in ogni buon film, non c’è obbligo di unità di tempo. In perfetto stile giallistico-cinematografico, il lettore incontra personaggi che non sa chi siano o, per dire meglio, che subito sa come dovrebbero essere e che appena più tardi scopre diversi, imprevedibili, sorprendenti.
Come in una commedia classica, Tilde, la benestante e algida cinquantenne, la “principessa” che pare non aver bisogno di lavorare, e Venanzio, per non dire dei fumettistici agenti della Polizia, ciascuno con il proprio nomignolo e il suo tic, e perfino della “primaria” Michela Manotesa, guarda caso anche lei donna di rara avvenenza, ciascuno, nel libro, ha un ruolo e un’apparenza che lo sviluppo della storia mette in crisi, capovolge o rivela. Nessuno è come appare o lo è, se lo è, in una parte soltanto. Piccola o minore, perlopiù.
Le storie sono molte e diventano una, vanno veloci, si intersecano, saltano di binario in binario. Donatella Mascia si muove tra il genere favolistico e sentimentale, tra il registro della commedia, popolato da agenti poco segreti, e la realtà di un sistema di equilibri internazionali sempre più pericolante. Costruendo un intreccio ingegneristico e insieme fantastico, a metà fra il rigore nella conduzione del plot e la fantasia che getta l’imprevisto dentro i fatti, così come si crede che debbano essere, Donatella Mascia ci porta nelle suite impeccabili degli alberghi ginevrini, dove ancora si tessono le trame dei destini delle nazioni, per farci incontrare poco dopo modernissimi jihadisti, anch’essi fluidi e liquidi nei loro propositi di guerra santa, come d’altra parte tutto il resto del mondo in ogni altro suo proposito. Li riprende con la cinepresa del romanzo e così da presso che anche la loro temibile verità – ci viene a un certo punto da credere – potrebbe essere un travestimento da commedia, un costume da palcoscenico, una parentesi, esaurita la quale, spento l’urlo nella notte, chiuso infine il sipario, si scoprirà il lieto fine.
Carlo Sburlati