“Di un’altra voce sarà la paura” di Yuleisy Cruz Lezcano (Leonida Edizioni, 2024 pp. € 14.00) richiama il carattere atrocemente diffuso della violazione dei diritti umani delle donne ed evidenzia il terribile atto della violenza.
La poetessa include nella brutale tematica il tormentato cammino di ogni espressione di discriminazione e di ogni minacciosa intimidazione, spezza l’urlo soffocante di dolore lacerando nei versi la paura trattenuta, condanna la persecuzione del ricatto psicologico, intimo e privato, che aggredisce il genere femminile, annientando la volontà e la dignità per l’ignobile crimine dei maltrattamenti subiti. Yuleisy Cruz Lezcano cerca un’altra voce, un accento per trattenere l’angoscia e dilatare la capacità di sussurrare l’intensità emotiva, liberare la propria identità, riconoscere l’impedimento fisico e sociale di un’ideologia maschile. Mantiene alta l’attenzione nei confronti della distruttiva e pericolosa impulsività, dell’esplosiva attualità negativa, dichiara colpevole qualsiasi forma di infido dominio all’interno delle relazioni umane, l’inganno per una comunicazione abusata dall’impetuosa e incontrollata imposizione di ogni crudeltà.
Descrive la gravissima costrizione dell’isolamento dal mondo esterno e dalla propria indipendenza, narrando una poetica cruda, dannosa e fatale in cui la dipendenza maschile domina la persecuzione, trafigge il cuore e uccide l’innocenza profanandone il tragico smarrimento. La poesia di Yuleisy Cruz Lezcano espone la durezza delle parole con la sequenza di un realismo drammatico, cinico e ineluttabile, mette alla prova la fragilità paralizzante del trauma con le conseguenze stremate e silenziose dell’indifesa e disarmata situazione umana, abbraccia lo sgomento di un universo devastato e sconfessato le cui impronte sono rintracciate attraverso le efferate fenditure dell’anima, le malvagie e inequivocabili impressioni, le delittuose omissioni del presentimento.
Yuleisy Cruz Lezcano percorre il dilaniante itinerario verso l’estrema epigrafe della sopravvivenza, esplora lucidamente la nitida e spaventosa testimonianza di tutto ciò che si insedia, inquietante e profetico, intorno alle vittime e ai carnefici.
Provoca, con la commossa e intensa denuncia dei versi, l’ineluttabile tensione dei comportamenti ostili, suscita sentimenti di rifiuto contro la perversa direzione assillante e possessiva di un’esclusività innaturale dei sentimenti umani, indica lo sdegno dell’esasperazione, il motivo irreversibile, la distruzione rovinosa della sensibilità, l’emergenza nel disagio della soggezione nociva. La poetessa lenisce la straziante ferita, ricompone i frammenti dispersi di un corpo ammantato dalla spettrale ed emaciata inafferrabilità dell’amore, nella mancanza della ragionevolezza.
Il libro racchiude il naufragio dell’umanità, tracina il solco profondo del male nella voce annientata dall’inevitabilità della violenza, ferma nella cristallizzazione dell’inchiostro l’insospettabile confine tra le lesioni dello spirito e le contusioni della distruzione morale. Arriva al lettore come un macigno intollerabile nella coscienza, sfibra e scuote il reticolo dei pensieri, rinnova la prospettiva faticosa e affannosa della desolazione e della sua resistenza, la curva fragile della speranza oltre la direzione tortuosa dello sconforto.
La voce della poesia dona l’ampiezza della fiducia, amplifica il mormorio della commiserazione per ogni desiderio di risollevare dalla spietatezza dell’inumanità la generosità della compassione.
Rita Bompadre
Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
Urlo rosso
Stamane ho sentito un urlo
rosso parlare da urlo,
ed era sangue di lava
che bruciava, che parlava
come il mondo
e diceva: “Ora sei
libera! Come le corde
di un’arpa, che pur se vibra,
ha scordato il senso
della vita”.
“Ora sei libera
come una poesia di riporto
che non sa dire “No”
al suo intenso sentire
passioni nel vuoto
con silenzi da urlo,
simili alle parole”.
Volontà inascoltata
Chiusa notte di vertici
bruciati, sottosuoli di canali
preannunciano tempeste, trasmigrazioni
di blocchi di nebbia sul grigio
sangue che sposta silenzio.
Mi anestetizza un grande
silenzio, due mani stringono
dove non mi concedo, dove
non voglio. Due labbra umide
cadono sulla mia impronta
e io che per morire non ero
pronta, sto morendo nel respiro
nero che evito di ascoltare
mentre dal mio cadavere
già eredito le ferite.
Conformità
Crea da un passato
la realtà pieno
di morte, pone
l’essenziale
divenuto diverso
nel falso vedere
una realtà capovolta
in uno specchio,
conosce dei giorni
l’inconfessato spazio,
nell’esercizio del sospetto
non c’è malessere
di fronte al reale,
è l’esistenza
tolleranza
della sua maschera.
Altrove
Lacrime veloci
mi portano via in luoghi
lontani, dove tutto quello che mi vede
mi riconosce in quello che si chiama donna
senza una patria, senza un nido
schiacciata da un brivido
come un fluido che perde
la forma dei pori
per poi scorrere
lontano
lontano.
Me ne vado (ultimo saluto del poeta)
Me ne vado dove la mia accesa
indignazione non può squarciare
il mio petto. Me ne vado da queste dita
che fanno male indicando lo sguardo
che non vuole più guardare i tatuaggi
non voluti, da dove la violenza s’incammina
scuotendo la mia inerzia. Me ne vado
da questa tendenza a rimescolare
colpe che si agitano come una bestia
bagnata dalla pioggia che si scrolla
– conservando la puzza – ovunque
disseminando gocce di giudizi.
Me ne vado dalla parola, dalla voce
del nero che si contrappone all’aureola.
Me ne vado per paura d’essere la mano
dove invelenito il sangue prende forma.