“L’impiegato e i quarantaquattro gatti (di cui un intruso)” di Marco Gnemmi (Eretica Edizioni, 2024 pp. 140 € 17.00) trae l’ispirazione da una personalissima e conturbante visione del mondo in cui il dettaglio sfumato della fragilità umana racchiude l’inesorabile e sagace consapevolezza del caos esistenziale.
La serie di racconti, apparentemente e stilisticamente scollegati, ma uniti da una stessa destinazione di ricerca innovativa e disarticolata nel linguaggio e nel contenuto, sottolinea il carattere geniale e intrigante dell’opera. Marco Gnemmi affronta le pagine della sua biografia mescolando sapientemente attualità e fantasia, concentra il suggerimento esplicativo dell’esperienza, in bilico tra inquietudine e vita di provincia, illuminando l’aspetto significativo delle emozioni, finalizzando lo squilibrio interiore e il senso di insicurezza nel processo liberatorio della creatività. L’autore, nei suoi singolari e disorientanti racconti, è testimone della metamorfosi paradossale e tragicomica nelle parole, evidenzia, attraverso la conflittuale dissimulazione della natura umana, l’entità irritante e indisponente dei personaggi che animano un universo irragionevole e grottesco. Il libro introduce, nel luogo versatile della profetica distopia, un’inversione delle storie, movimentate da una vivacità ironica e mordace, mostra la qualità della derisione e dello scherno, nei confronti di ogni aspra e pungente vicenda, ospita l’intento allegorico e allusivo dei comportamenti umani nel gioco crudele e beffardo del cinismo, nell’accattivante direzione comunicativa dei pensieri e delle sensazioni. Marco Gnemmi presenta la scaltra origine umoristica a misura di tutte le cose, usa lo strumento interpretativo dell’insensatezza per invertire la rigorosa accuratezza formale e compensare, nell’affermazione caricaturale dell’assurdo, il travestimento satirico dell’orientamento letterario, descrive il disordine illusorio e il vincolo oggettivo del mondo, individua la spregiudicatezza e il compiacimento di una scrittura intelligente e coinvolgente. Allestisce la crudele e funesta rappresentazione di una cruda e spudorata narrazione intorno all’esasperata e amareggiata risposta morale, illustra l’indagine psichica delle relazioni, orchestra, nell’uso indistinto di figure retoriche, congetture di immedesimazione nelle azioni umane, attribuisce alla materia inanimata e astratta la componente mitopoetica e simbolica di ritrarre gli elementi come incarnazione dei sentimenti dell’uomo.
La scrittura di Marco Gnemmi rivolge ai lettori l’impatto emotivo di ogni passaggio narrativo con evidente eccentricità e stravaganza, amplifica l’autenticità della normalità nella consuetudine di un impiegato bancario alle prese con lo spirito desideroso di conoscere l’esuberante e smaniosa natura umana. Leggere Marco Gnemmi suscita reazioni contrastanti, rileva l’interiorità antropologica e filosofica del contesto riflessivo, dimostra il segno distintivo e spiazzante delle percezioni accidentali, accorda l’incrinatura linguistica nell’intenzionale disarmonia del fondamento rivelativo di ogni timoroso dramma.
Risveglia l’inattesa immediatezza della perturbazione, nell’incredulità e nello smarrimento vitale, alleggerisce, nel turbamento sconveniente della cronaca destrutturata, la libertà di scrivere.
Rita Bompadre