sabato 27 Luglio 2024 - Anno 33

“IL MULINO DELLA TORRE”

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Sabato 29 ottobre a Palazzo Robellini è stato presentato un interessante libro di memorie della scrittrice Stella Bolaffi, dal titolo “Il Mulino della Torre”, in cui parla ampiamente dei suoi parenti acquesi di parte materna. Ad esso il torrenziale  tuttologo acquese prof. Giulio Sardi ha dedicato due lunghi resoconti sulla terza pagina dell’Ancora. Il secondo, su quattro colonne, dedica alcune frasi infelici e sciocche anche al sottoscritto, uno dei pochi acquesi partecipanti all’incontro.
Premetto che sono da lungo tempo amico della famiglia Bolaffi. Giulio Bolaffi, il grande mercante filatelico internazionale e visionario ed illuminato editore d’arte, dell’eccellenza e del tempo libero, ebbe la bontà di invitare il sottoscritto, allora studente liceale, a collaborare con articoli e saggi alle sue innumerevoli e patinate testate settimanali e mensili, dal Collezionista, ad Arte, Antiquariato, Gioielli, Gardenia, Bell’Italia, pagandomi sempre regolarmente, forse anche generosamente, data la mia giovane età. Giulio Bolaffi, di antica e prestigiosa  famiglia ebraica, in cura  alle Terme di Acqui per una caduta da cavallo, aveva conosciuto nella nostra città  una bellissima ed avvenente signorina Palmina Seghesio, di ottima famiglia, profondamente cattolica, e l’aveva sposata. Nel 1934 sarebbe nata Stella, autrice del libro  di cui parliamo, e nel 1935 Alberto, che alla morte di Giulio  negli anni  ottanta, succederà  alla guida della grande maison internazionale filatelico, collezionistico ed editoriale paterna. Colpito dalle orribili leggi razziali del 1938, che però non avevano intaccato il suo commercio filatelico internazionale, Giulio Bolaffi dopo l’8 settembre 1943 sali’ in montagna nelle valli di Susa e col nome di Aldo Laghi fu a capo di un’agguerrita formazione partigiana, determinata e duttile, che tenne in scacco molte volte i tedeschi, causando loro  molte perdite. Giulio Bolaffi era un capo partigiano carismatico, di indubbia probità, non politicizzato, capace di gesti temerari e coraggiosi, ma anche di grande signorilità e più volte seppe mostrare generosità e spirito cavalleresco nei confronti degli avversari.
Nel 2008, appena nominato Assessore alla Cultura di Acqui, fui felice di presentare a Palazzo Robellini, di fronte ad un folto gruppo di suoi vecchi partigiani, di moltissimo pubblico acquese e naturalmente dei suoi familiari, un libro storico, documentato ed esauriente, dedicato ai suoi quasi due anni di guerra partigiana. In esso fra l’altro si evidenziava che dopo il 25 aprile 1945, invece di scendere a Torino per i festeggiamenti della liberazione, Giulio Bolaffi, con i suoi soldati, non si mosse dalla Val di Susa per difendere i confini italiani dall’arroganza dei partigiani francesi, che volevano modifiche dei confini, che poi strapparono invece più a sud, a Briga e Tenda. Con l’altro suo unico figlio maschio, Alberto Bolaffi, che è succeduto al padre nella conduzione della prestigiosa maison Bolaffi, ci diamo del tu da oltre cinquant’anni, abbiamo realizzato molte cose insieme e ci frequentiamo a volte anche con le rispettive famiglie.    Veniamo al fatto personale per queste mie note. Il tuttologo e grande storico prof. Giulio Sardi nelle quattro colonne dedicate anche a me sullo scorso numero dell’Ancora a pag. 3, parla di mie note stonate e di sgrammaticatura forte da parte mia, perché al termine della presentazione del libro di Stella Bolaffi, ho evidenziato il paradosso che mentre la parte paterna della famiglia Bolaffi era in montagna con i partigiani, parte della famiglia materna acquese, nonne ,zie e cugini erano schierati con il fascismo, anche durante la Repubblica Sociale, e che, nel secondo dopoguerra, talvolta in famiglia fra di loro si salutavano col braccio alzato. Un fatto non tanto inusuale, come hanno ben documentato storici seri della guerra civile e di quegli anni tristi e tormentati, in cui al Nord, magari nella stessa famiglia, un fratello era in montagna con i partigiani e l’altro volontario nell’esercito fascista della Repubblica Sociale. Siccome Giulio Sardi, dall’alto del suo consolidato percorso storiografico, ha lasciato intendere  perplessità  e dubbi su quanto da me riferito, con delicatezza e con assoluta cognizione di causa in sala, aggiungo un altro elemento. Mimi Brizio, acquese e cugina per parte di madre sia di Stella che di Alberto, è stata volontaria Ausiliaria nell’esercito della R.S.I., mentre il loro padre era il Comandante Aldo Laghi in Val di Susa. Nel dopoguerra sposerà Roberto Mieville, una figura mitica dell’appena fondato M.S.I., di cui fu il primo segretario nazionale giovanile. Eletto nel 1948 alla Camera con i primi 6 deputati del partito di Almirante, sarà rieletto a Montecitorio con un consenso elettorale altissimo anche nel 1953, per morire prematuramente a soli 35 anni nel 1955, in un incidente stradale. Mimi Brizio, acquese trasferitosi a Roma, sposerà in secondo nozze l’ing. Bartolini, che io troverò come Amministratore Delegato del settimanale rotocalco “Il Borghese”, cui collaborai per oltre un ventennio, e del quotidiano torinese “La Gazzetta del Popolo”. L’Ausiliaria della RSI Mimi Brizio, insieme alla nonna di Alberto e Stella Bolaffi Ines Seghesio e alla loro mamma Palmina, morta prematuramente nel 1944, riposano insieme nella bella tomba di famiglia dei Seghesio Brizio, nel corridoio centrale a sinistra del cimitero di Acqui. Perché queste semplici ed oneste parole sarebbero una nota stonata ed una sgrammaticatura forte? Ho goduto dell’amicizia di Giulio ed Alberto Bolaffi, galantuomini e persone di eccezionale valore, che ben conoscevano le mie posizioni culturali ed ideali, anche se il mio nonno paterno, di cui porto nome e cognome, ha ricevuto dal comandante generale delle truppe alleate il Feldmaresciallo H.R. Alexander un attestato firmato di suo pugno, per l’aiuto da lui e dalla sua famiglia prestato  nelle Langhe tra il 1943 ed il 1945, per la salvezza di soldati ed ufficiali degli eserciti alleati.Voglio finire con una notazione. Tutti conosciamo ed ammiriamo il prof. Massimo Cacciari, illustre studioso e cattedratico, spesso sui quotidiani ed in televisione, eletto  da giovane deputato e poi europarlamentare nelle file del Partito Comunista, per due volte sindaco di Venezia, ormai non più sulle sue posizioni politiche originarie. Ebbene nei suoi anni di militanza comunista ed anche dopo portava spesso al polso un orologio, appartenuto a suo zio Cesare Momo, fratello di sua madre, ufficiale della Repubblica Sociale, assassinato dai partigiani a tradimento il 5 maggio 1945, dopo che si era arreso.

CARLO SBURLATI

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