mercoledì 11 Dicembre 2024 - Anno 33

COUNSELING E RABBIA

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Una delle emozioni fondamentali è la rabbia, spesso si attiva in concomitanza con un evento frustrante, un ostacolo che si frappone alla realizzazione di un obiettivo prefissato. In alcuni casi (come in quello della telefonata che non arriva) non è tanto il contenuto a provocare la collera, quanto piuttosto la rete di pensieri che si attiva a ridosso dell’accadimento, che ha a che fare con una dimensione di giudizio connotata emotivamente.
Tradotto: non è grave che la telefonata in sé non arrivi (la cosa che mi aspettavo di sapere, la saprò domani), ma è insopportabile il significato che attribuisco alla negligenza: la persona non mi ha chiamato perché non mi pensa /non sono importante.
L’attribuzione di significato agli avvenimenti contribuisce in modo importante alla definizione dei contenuti che accendono reazioni aggressive.
È senz’altro vero che possono esistere temperamenti più focosi, che ci siano individui che fin da piccoli mostrano una chiara tendenza all’impulsività, ma è altresì vero che il modo di reagire agli ostacoli si modula con l’esperienza e che si possa quindi imparare a modificarla. Vi è infatti anche una dimensione socioculturale connessa all’espressione della rabbia. Spesso la rabbia è un sentimento negato, giudicato negativamente in famiglia o represso: l’effetto della negazione può comportare l’incapacità a maneggiarla o a canalizzarla, trasformata, in destinazioni più costruttive.
Le persone che si arrabbiano facilmente hanno di norma una bassa tolleranza alla frustrazione. Percepiscono come ingiuste le difficoltà o gli impedimenti che gli capitano. Questo si traduce nell’attivazione di pensieri concitati, esasperati, drammatici.
La traduzione narrativa assomiglia ad assunti tipo: “è inaccettabile!”, “tutte a me mi capitano”, “non mi rispettano mai”. L’assetto del pensiero, che si struttura intorno al sentimento di essere vittima di un’ingiustizia, fomenta uno stato di rammarico e stimola ulteriori pensieri negativi che insistono su una prospettiva egocentrica e ostacolano la ricerca di alternative.
Si può così inasprire uno stato di mancanza di fiducia nelle proprie possibilità e una propensione  a rimuginare di continuo intorno all’avvenimento che ha provocato la rabbia.
Anche il detto comune che, se si è arrabbiati, è meglio sfogarsi, è discutibile.
Di fatto, urlare o mettere in atto comportamenti che si ritiene possano “scaricare” l’emozione spesso non funziona.
Nella operazione di sfogarsi si esaspera ancora di più il legame con l’oggetto della frustrazione. E, d’altra parte, la nostra possibilità di reazione spesso non esaurisce il potere irritante di una situazione.
Quali sono le risorse che possiamo attivare per imparare a maneggiare meglio la rabbia e la frustrazione? Alcuni studi mostrano che “lasciar correre” spesso sia più efficace che accanirsi. Lasciare che l’esperienza di frustrazione decada, provando a disattivare i pensieri/giudizio che la riguardano, raffredda la suscettibilità.
Utile è anche rivedere le nostre aspettative.
Soprattutto quando il risultato che desideriamo non dipende soltanto dal nostro impegno o dagli sforzi che possiamo fare, ribadirne la natura di desiderio e non di necessità rende meno amara l’eventuale frustrazione.
Non sempre i nostri obiettivi sono raggiungibili, non sempre riusciamo a raggiungerli: facciamocene una ragione.
Discostarci dalla prospettiva egocentrica e cercare di vedere le cose da una prospettiva più ampia, in cui includiamo anche le altre persone coinvolte, con i loro moventi e le loro prospettive, può essere di aiuto quando ci fissiamo su una sola lettura della realtà e quando ne calchiamo la dimensione di eccezionalità.
Riuscire a limitare l’utilizzo delle frasi che includano le parole “sempre” e “mai”, o rivedere la nostra attribuzione di giudizi come “inaccettabile” e “tremendo” a compendio dell’evento frustrante può essere una strategia efficace di ricalibratura dell’avvenimento. 

Filippo Chiarlo
Gestalt Counselor Professionale
f.chiarlo@email.it 

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